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Cultura&Spettacolo
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Esperto conoscitore del patrimonio gastronomico delle nostre regioni, tanto da avere più dimestichezza con la cucina italiana che con quella turca.

Cuoco esigente e sopraffino, in realtà se non avesse fatto il regista avrebbe scelto di diventare chef, Özpetek è a Napoli per la regia de La Traviata di Giuseppe Verdi, che il 5 dicembre ha aperto la stagione del San Carlo. Un allestimento ardito che ha sorpreso gli spettatori per la decisione di ambientare la tragica sorte di Violetta nella Parigi del 1910, più simile all’ Istanbul ottomana  per l’atmosfera esotica ricostruita nelle scene del premio Oscar Dante Ferretti in cui Oriente e Occidente si contaminano. Contaminazioni che sono parte di Özpetek e del suo cinema. Sono sempre presenti nelle sue pellicole e vengono sempre fuori in cucina o in una bella tavolata imbandita, seguendo una bizzarra analogia con gli ingredienti e gli odori che si mischiano per creare un nuovo e squisito piatto. Proprio dietro ai fornelli i protagonisti della maggior parte dei suoi film si avvicinano, confidano i propri segreti e le proprie paure. La cucina diventa un luogo sacro in cui la preparazione di una sacher o di polpette di mele e arance o di semplici tramezzini porta  a istanti d’intimità.  

La cucina e la tavola hanno sempre ispirato il regista. Nella cucina della sua casa romana raduna i suoi attori per la lettura dei copioni prima di iniziare a girare e riunisce i suoi amici che sorprende con bicchieri e posate da abbinare in base alla giornata e all’occasione d’incontro, offrendo portate risultati delle sue sperimentazioni e improvvisazioni culinarie. D’altronde, ha voluto che la sua adorata cucina si trasformasse in set, facendola essere quella della sventurata coppia formata da Pier Francesco Favino e da Luca Argentero in Saturno Contro. Il film che forse rappresenta meglio la filosofia di vita del regista: l’idea di famiglia acquisita, in cui tutti possono farne parte a prescindere dall’orientamento sessuale e dall’etnia, diventando punti di riferimento per quella piccola comunità. È proprio lì, durante quelle cene che si consumano dolori, si alternano momenti di allegria e di complicità.

Antonia Fiorenzano

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