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Nulla di grave, eccetto che il film è ancora in programmazione al cinema.

Neanche dodici ore di tempo dalla premiazione, la corsa di un quadrante d’orologio, e la Fiat ha realizzato, montato e trasmesso la con Sorrentino a Los Angeles. L’efficienza dell’industria italiana, vanto e piacere dei disoccupati.

Oggi ovviamente è il giorno della “grande” critica, quella dei social e del passaparola, il mondo dei mondani da tablet e pc, in pieno stile Jep Gambardella all’epoca del 2.0

Anche noi ci mettiamo il nostro, riempendovi d'interessanti opinioni non richieste, prima di parlarvi di cibo.

Ci piacciono fotografia e musica; le inquadrature molli su scene e paesaggi come foto nel miglior dopo-sbronza captano al meglio i vecchi corpi, i flaccidi visi della cricca culturale capitolina. Ci piacciono recitazione e attori, un buon abbinamento anche per scelta di costumi, trucchi e parrucchi.

I tempi narrativi inevitabilmente lenti e tanto distanti dai ritmi del cinema contemporaneo, consentono di fumare con comodità un Hoyo de Monterrey Double Corona e anche questo ci piace.

La sceneggiatura sembra un po’ il minestrone della nonna dove fagioli, piselli e carote si amalgamano in un abbraccio intimo e decisamente confuso con minestrone la grande bellezzapatate, verze, mille altre verdure, erbe di campo dai nomi strani e scorza di grana padano economico a tocchetti. E’ calda, buona, sazia e tanto basta. Il minestrone di Dadina, la direttrice del giornale di Jep, vorrebbe somigliargli invece sembra brodaglia, ma a tavola sulla tovaglia con le arance c’è una caraffa di vino: sapore di casa, una parvenza di umanità in una vita arida. Tragicomico.

La trama è introspettiva al punto giusto da farci prenotare una breve seduta dallo psicoanalista: nulla che un bicchiere di whiskey -immancabile nel film- non possa cancellare.

In breve La grande bellezza non dispiace con il suo mix moderno tra un La dolce vita ribaltato e Il piacere dannunziano distillato in tutta la sua decadenza, a cui Sorrentino e la sua squadra hanno aggiunto tanti ingredienti nuovi, creando un cocktail un po’ pesante da tracannare ma piacevole per un bevitore esperto.

Veniamo al cibo nel film, una spezia centellinata per non stancare, dal chiaro ruolo metaforico.

Il clero dedito ai piaceri del corpo più che alle meditazioni teologiche è incarnato nel personaggio del cardinale, un Artusi in abito talare che recita ricette come salmi. Pornografia alimentare recitata, ricchezza d’ingredienti che stride come unghie sulla lavagna rispetto alle umili radici che mangia la santa.

Abbiamo sorriso di piacere nel bar pieno di vecchi beoni con le casse di birra birra peroni la grande bellezzaPeroni in primo piano, product placement dal gusto patriottico. Poi orecchiette con cime di rapa che galleggiano in una fontana durante la festa dal collezionista, verde su verde e nero, un gioco di colori decadente come pochi. Nel giardino bocconcini di mozzarella, spuntino da rinfresco per eccellenza e nel caso avessimo ancora sete la S.Pellegrino ha piazzato bottiglie di acqua frizzante ovunque.

Non rubo la scena a Marco Lombardi e alla Cinegustologia®, ma questo film fa pensare a un’anatra laccata all’arancia cotta a bassa temperatura, piena di aromi e spezie, bella da vedere e da mangiare anche se un po' barocca. In abbinamento una bottiglia di Amarone della Valpolicella Docg Masi Costasera e fumiamoci su una sigaretta come nel film, una Dunhill International (così sembra).

Luigi Orlando

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