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Cultura&Spettacolo
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Il cinebrivido è la sensazione forte che dona un’esperienza di qualsiasi natura.

Il tutto nel linguaggio Nadsat, la lingua inventata in cui i protagonisti parlano per tutto il tempo.

Sto parlando di Arancia Meccanica lo spettacolo in scena al Teatro Bellini di Napoli fino al 13 aprile tratto dal libro di Anthony Burgess, ma, per l’immaginario collettivo, soprattutto il film, con la regia di Stanley Kubrick, che ha segnato molte generazioni.

Dopo oltre quarant’anni dalla sua uscita resta ancora un punto di riferimento per una determinata cultura o subcultura. Lo testimonia il pubblico variegatissimo che si vede in platea. Non i soliti abbonati borghesi o signore di mezz’età. Arancia Meccanica è un titolo e un tema che fa gola a tante differenti tipologie di persone. Pochi restano esclusi dal suo fascino. In più c’è l’aggiunta del nome d’eccezione, Morgan, che si che trascina dietro folle di ogni età ed estrazione culturale. Morgan è come Arancia Meccanica, dissacrante, irriverente, esagerato, doloroso e geniale. La regia è di Gabriele Russo, della generazione dei giovani figli di, che vogliono affermare autonomia di pensiero e di movimento riuscendo con successo nell’intento. L’adattamento è a cura dello stesso Russo con Tommaso Spinelli. In scena, Daniele Russo, Paola Sambo, Marco Mario De Notaris, Alfredo Angelici, Martina Galletta, Sebastiano Gavasso e Alessio Piazza.

Un involucro perfetto, costruzione scenica impeccabile, essenziale ed evocante, mai invadente. Roberto Crea si riconferma lo scenografo più interessante degli ultimi anni. Le musiche di Morgan sono ineccepibili, anzi di più, cattive, inquietanti e paradisiache insieme. Vi si trovano ricordo, rifiuto, ossessione, malinconia, iterazione, delirio. Rispecchiano il sommo autore e l’egregio adattatore. Volutamente invasive, del resto non possiamo dimenticare che Ludovico Van (Beethoven, così familiarmente chiamato da Alex) è l’ossessione del protagonista. Un disegno luci di Salvatore Palladino che evidenzia in maniera precisa ma mai eccessiva il succedersi dei ricordi della mente di Alex DeLarge. I costumi di Chiara Aversano sono molto glam e in perfetta linea con la confezione dello spettacolo. Il tutto è estraniante, duro, a tratti lento e difficile da masticare in piena coerenza con le atmosfere del film. Poco si sopporta il gergo Nadsat e il disagio psicologico della violenza e del suo dissertarci sopra. In linea, con l’intento di regista e autore. Non c’è godibilità, non può esserci, il tema, il testo, la recitazione vogliono provocare disagio, malessere nello spettatore e spingerlo al volersi dissociare da ciò che vede. Disagio che si porta dietro anche usciti dalla sala assieme al motivetto finale dello spettacolo.

Carmen Vicinanza

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