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Si è concluso, con un bilancio molto positivo, il Festival dell’Oriente alla Mostra d’Oltremare di Napoli tenutosi nei due weekend dall’11 al 20 settembre. Più che un festival si è trattato di una complessa fiera campionaria. Migliaia di stand con prodotti orientali di ogni sorta e anche qualcuno che aveva scambiato gli indiani dell’India con quelli d’America, ma questi sono dettagli…

Chiaramente c’erano anche delle cose interessanti confuse tra migliaia di merci che si trovano in qualsiasi negozietto etnico. Interessante era il padiglione dedicato al benessere, tutto però troppo unito, troppo mescolato, lezioni di yoga, massaggi di ogni sorta e senza alcuna privacy e atmosfera. Un enorme calderone di contenuti di vario genere che stentavano a coabitare.

C’è stata un’affluenza incredibile di gente di qualsiasi ceto sociale, dall’ultimo reduce di Woodstock alla famigliola di provincia in uscita domenicale con mamma con tacchi a spillo e tatuaggio sulla coscia che spinge il carrozzino del bambino urlante. Un interessante spaccato di vita. In generale, una panoramica kitsch della visione dell’Oriente che si ha dalle nostre parti. Convulsivo, estraniante, con mille fragranze, come spesso può essere l’Asia, caldo e colmo di gente, proprio la percezione che ha un occidentale quando si mette piede in alcuni paesi asiatici. Quindi, esperimento più che riuscito, direi.

Vari gli stand gastronomici, perché non si può parlare di ristoranti, dall’indiano, al tibetano, singalese, egiziano, thai, indonesiano. Il cibo non eccellente, ma comunque con una buona media. Tanta plastica sprecata, problema che sta affliggendo anche i paesi asiatici in ritardo rispetto al consumismo e con ancora nessuna coscienza ecologica. In realtà, il cibo di strada nei paesi asiatici, sarebbe anticamente servito in contenitori riciclabili o biodegradabili, quali foglie di banano, carta, utensili di metallo e vetro da restituire, ma l’invasione dei turisti occidentali, con il consumismo che ne è conseguito, e l’enorme richiesta di cibo d’asporto e bevande imbottigliate ha creato, in pochi anni, un vero e proprio caos in termini di ecologia. Per cui, si accumula plastica a livelli industriali senza alcun piano efficace di riciclo e smaltimento. E questo è un vero peccato, è una cosa che ho notato ogni volta che sono stata in paesi asiatici.

Sulla stessa scia, anche gli alimenti serviti agli stand del Festival sono stati rigorosamente un immane spreco di plastica non riciclabile nonostante i vari contenitori per la differenziata. 

Per il resto, colori, rumori, suoni, un’interessante riproduzione dell’esercito di terracotta e una panoramica sulle etnie asiatiche, anche di quelle in via di estinzione che valeva la pena di essere vista. Gli spettacoli sono stati continui, cioè senza tregua, per gli avventori seduti ai punti ristoro, ma, in compenso, si è fatto un lunghissimo viaggio tra coreografie Bollywood style, percussioni di ogni possibile paese dell’Asia, finte o vere ballerine asiatiche, cantanti liriche dell’estremo e medio oriente, performance sonore e di danza di ogni sorta. Ci sono stati corsi di shiatsu, massaggi, yoga di ogni sorta, seminari di meditazione, convegni di salute e benessere psicofisico.

Il risultato finale è stato un calderone che ha provocato un’indigestione di informazioni e stimoli. In fondo, una giostra multicolore che ha fatto divertire le migliaia di visitatori attratti dalla magia dell’Oriente e che, sono sicura, ci ritorneranno volentieri il prossimo anno.

 

Carmen Vicinanza

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