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 Food not Bombs è un movimento nato negli Stati Uniti nel 1980 basato sul volontarismo, sulla non-violenza e sul meccanismo del consenso, con l’obiettivo di sfamare chi ha fame opponendosi all’economia capitalistica di sfruttamento e distruzione della terra in virtù dell’economia del dono, basata cioè, non sulla ricerca del profitto, ma sul libero e gratuito scambio di alimenti, preferibilmente vegetariani, che altrimenti andrebbero al macero.

 Fedele al concetto di riappropriazione degli spazi pubblici come politica di denuncia di povertà ed emarginazione, FNB opera nei parchi pubblici e nelle piazze di molte città di tutti i continenti, con cucine portatili e tavolate aperte a tutti.

 Secondo questa organizzazione internazionale se i governi e le imprese mondiali usassero la stessa quantità di tempo utilizzata per supportare e innescare guerre e militarismo, per lottare contro le ingiustizie sociali, nessuno soffrirebbe la fame. Buona parte del cibo a disposizione nel mondo, infatti, non viene distribuito per impedire l’aumento dell’offerta ed evitare il crollo dei prezzi. In questo modo sistema capitalistico e militarismo continuano a regnare sovrani. Bisognerebbe insomma modificare una volta e per tutte lo stato delle cose, perché come recita il motto di Martin Luther King Jr. adottato dal movimento “A nation that continues year after year to spend more money on military defense than on programs of social uplift is approaching spiritual death”.

 Il logo di FNB è non a caso un pugno chiuso, levato verso l’alto a stringere una carota. Un incoraggiamento a combattere con tutte le forze contro il paradosso della società contemporanea - lo spreco – e a farlo cucinando pasti rigorosamente vegetariani da offrire a qualsiasi persona ne possa avere bisogno.

Nonostante i frequenti tentativi delle istituzioni di bloccarne l’espansione tramite strumenti intimidatori come perquisizioni, arresti, denunce, indagini sul terrorismo ecc. la realtà di Food not Bombs continua fortunatamente a coinvolgere nuovi adepti, raggiunti anche grazie a un libricino , dedicato alle motivazioni ideologiche del movimento e ad una serie di consigli utili per svolgere al meglio questa attività, partendo dall’organizzazione interna del gruppo - compresi gli aspetti relativi alla comunicazione - fino alle modalità di raccolta del cibo, i consigli legali, l’organizzazione di un punto di ristoro e le attrezzature da utilizzare, e ricette adatte alla cucina di strada destinata a centinaia di persone.

 Ma qual è la situazione in Italia? Finora, come si evince dalla mappa disponibile sul sito di FNB, che indica le varie città che nel mondo hanno sposato questa filosofia, la presenza di FOOD not Bombs nello stivale si limita al Settentrione, con punti a Torino, Genova, La Spezia, Bologna, Treviso, Cesena e Firenze. E lì si ferma. Triste scoprire che, come purtroppo spesso accade, le realtà degne di nota attecchiscono in un’area limitata che taglia fuori il Sud.

Sorvolando sulle cause di questa fin troppo frequente tendenza, ci sembra più proficuo sottolineare l’entusiasmo con cui tale realtà ha preso piede ovunque nel mondo e invitare a fare altrettanto.

 Anche se dare inizio ad un punto Food not Bombs potrebbe risultare più impegnativo di quanto sostenibile, come la stessa FDB prevede, le dritte e la catena di solidarietà fornite dall’organizzazione sono solide, compreso un vario sistema di materiale pubblicitario a cui far riferimento per dar corpo all’iniziativa nascente. Lavorando sulle basi, facendo un passo alla volta e individuando un gruppo di persone interessate – può trattarsi di amici, membri di un gruppo preesistente, o persone che rispondono alla politica di divulgazione del progetto – sarà possibile dare inizio ad un nuovo gruppo Food not Bombs locale.

Da qui, procedendo con determinazione e buona volontà, FDB fornisce sette step da seguire per garantire il successo delle buone intenzioni che potrete trovare sul sito Food not Bombs.

Micole Imperiali

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