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Tutti però ci siamo chiesti almeno una volta l’origine di quei caratteristici fori che presentano questi formaggi a pasta dura tanto famosi nel mondo, dal gusto aromatico nitidissimo e oggetto di studi, ricerche ed indagini nel corso degli anni. Nonostante i disciplinari rigidi di produzione e stagionatura a cui è sottoposto, la risposta starebbe nelle microparticelle di fieno che si depositavano nel secchio durante la mungitura.

La sensibile riduzione dei buchi negli ultimi anni è da attribuire ad un latte troppo pulito, conseguenza inevitabile del passaggio ad una mungitura non più manuale in recipienti aperti ma meccanizzata, quindi in assenza di quelle bolle di anidride carbonica che si generano involontariamente durante la fermentazione ad opera di alcuni batteri: questo è l’amaro verdetto di una ricerca condotta da Agroscope (Istituto di scienze alimentari) e Empa (Laboratorio federale di prova dei materiali e di ricerca).

Il formaggio ha origini remote tanto quanto i tabù, i pregiudizi e le avversioni di ordine medico, religioso e psicologico ad esso associato. Nel mondo pastorale l’arte del formaggio era una consolidata pratica del lavoro femminile, anzi era l’essenza dell’alimentazione di molte tribù barbare e montanare, abituali consumatrici del prodotto e quindi spartiacque tra civiltà urbana che abborriva il latte fermentato e la sua puzza e la selvaggia vita errante.

Cibo controverso che ha faticato ad affermarsi nel gusto e nella gastronomia diffusa, legata ad una nuova mentalità e alle scoperte scientifiche, mentre fino a metà XVII era considerato un alimento riprovevole e oscuro, quindi un pasto popolano.  

Dunque dovremo abituarci ad un formaggio coi buchi ma senza più buchi?

Sabrina Riccio

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