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Colazione? Pausa caffè? Merenda? Bene, allora molto probabilmente, in questo momento, sarà lì con voi, golosamente spalmato su di una fetta di pane ad accompagnare la vostra bevanda preferita. Ma mettendo gusto e sentimentalismi da parte e proviamo a parlare della Nutella, la crema spalmabile alle nocciole più golosa e diffusa al mondo, e di come oggi si offre a noi questo gigante dei prodotti di largo consumo.

Solo due anni fa l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico produsse un caso studio dedicato alla “italianissima crema alla nocciola” per raccontare come e quanto la sua azienda produttrice fosse leader per “creazione di valore”.

Guardando brevemente alla storia, la nostra “amica spalmabile” si è sempre mostrata molto attenta ad apparire familiare, alla portata di tutti e aperta agli scambi internazionali.

Dalla scelta del nome, vezzeggiativo italiano di un sostantivo estero, al formato del packaging, facilmente afferrabile e sistemabile in dispensa, sino al tentativo di proporsi come alleata quotidiana del nostro fabbisogno energetico, ci ha sempre sedotti con semplicità grazie ad un gusto irresistibile.

Il prodotto però è piuttosto problematico, infatti i suoi consumatori pur amandolo si dimostrano molto resistenti al consumo e all’acquisto. Essendo considerato prevalentemente un prodotto da usare con moderazione riservato piuttosto a momenti di golosità estrema, ha bisogno  di apposite campagne di marketing che ne ricordino la bontà e l’affezione, mantenendone alti i livelli di vendita.

Il marketing moderno propone beni ampiamente diversificati al fine di accontentare esigenze alimentari sempre nuove e diverse, arrivando sino all’estrema possibilità di personalizzare i prodotti acquistabili. Questo fenomeno è definito “customizzazione” dell’offerta.

Ma la Nutella ha la stessa fattura ormai da sempre, e quindi pur presentandosi in nuovi e personalizzatissimi formati, si incammina in un sentiero sconosciuto. Inoltre la crescente attenzione dei consumatori verso la salubrità degli alimenti, che in seguito agli ultimi scandali sull’olio di palma contenuto nella “crema”, ha fortemente alterato l’opinione dei consumatori sul prodotto.  La questione , che ruota intorno alla probabile nocività dell’olio di palma sia e ai danni ambientali provocati dalla coltivazione delle piante da cui è ricavato, ha aperto spazi di mercato a nuovi concorrenti produttori di creme spalmabili biologiche orgogliosamente prive di olii sgraditi.

Più che mai si è reso necessario un recupero di reputazione, e gli strateghi dell’azienda hanno scelto di percorrere la stessa strada che li ha portati sino a qui: la familiarità.

Il gravoso compito è stato affidato alle etichette riportanti esortazioni dialettali distinte per regioni. L’idea è che ciascun consumatore medio possa riconoscersi in quell’espressione collegandola ad un preciso momento quotidiano e del quale si sente partecipe. Automaticamente anche il prodotto che ha attivato il “ricordo” sarà parte di quel momento, motivandone finalmente l’acquisto.

E fin qui l’idea potrebbe essere vincente. Eppure risale a pochi giorni fa il manifesto in cui illustri attori dell’agroalimentare italiano, incontratisi a Expo, hanno espresso  in manifesto l’importanza di convogliare le nostre produzioni migliori sotto un’unica immagine di qualità da offrire all’estero. Evidentemente la strategia nazionale ideata dagli “umpa lumpa addetti alla comunicazione” va nella direzione opposta, quasi segmentandosi localmente.

Possibile che noi italiani siamo considerati tanto provinciali da non riuscire ad apprezzare un prodotto se non ce lo prepara mammà?

Come potranno le nostre industrie realizzare gli intenti del Manifesto per il Made in Italy se non sanno ancora attribuirci un’identità unica, sentendo ancora l’esigenza di parlarci come ai tempi di “Non è mai troppo tardi”.

I consumatori dovrebbero dunque proporsi come controparte critica  in grado di esprimere una preferenza reale. Ad esempio scegliendo prodotti cui sentirsi legati culturalmente. Ricordando che il paese vanta una quantità infinita di produzioni locali eccellenti che arricchiscono il patrimonio enogastronomico. Conoscendo i monti e le valli da cui arrivano, i mari o i fiumi in cui sono pescati è possibile consumare alimenti cui affidare la qualità dei propri pasti.  Percorrendo a mente le autostrade che li hanno portati sulle tavole e rivolgendosi all’alimentari di fiducia si può creare una filiera di cui si ha coscienza. Possiamo pure voler raccontarci questo metodo di selezione e fidelizzazione in dialetto, e poi spiegarlo al mondo in inglese.

Ma finalmente decidiamoci per descriverci e riconoscerci unici.

 Federica Mazza

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