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Carnevale rappresenta più che mai la sregolatezza gastronomica, e non solo, a cui si mette o si metterebbe  fine con l’arrivo della Quaresima. Un tempo si finiva diritti diritti dal confessore per elencare i peccati di gola e l’abbandono ai piaceri, ma a Carnevale  se ne poteva fare a meno. Un periodo di festeggiamenti  simile al nostro Carnevale lo si riscontra già al tempo dell’Impero Romano con i Saturnalia programmati durante il momento di maggior buio e in attesa della rinascita con il solstizio d’inverno del 25 dicembre.

Tuttavia, i riti pagani dei Saturnalia più che ricordare il Natale somigliano al Carnevale, sia per il carattere burlesco che per la leggerezza d’animo, ma anche per lo stravolgimento delle parti e ancor più per l’opulenza dei banchetti. Dunque uno dei prodotti tipici del Carnevale è il maiale simbolo di lussuria e di tentazione e non a caso i festeggiamenti cominciano proprio nel giorno di Sant’Antonio Abate ( 17 gennaio) da sempre,iconograficamente, rappresentato con il fuoco e il maiale proprio per aver vinto sulle tentazioni del diavolo e sulle passioni. Manco a dirlo i bagordi carnacialeschi cadono nel periodo più freddo dell’anno in cui si macellano più suini e si consuma più carne e lardo, usato, specie in passato, per friggere. Metaforicamente il maiale e il Carnevale rappresentano gli eccessi della gola e della lussuria e l’inverno è il momento giusto per strafare con grasso, fritti e calorie a sottolineare che la natura coniuga e valorizza tradizioni e consumi!

Prima di levare la carne… di mezzo, e qui il significato del nome Carnevale, in giro per l’Italia, in lungo e in largo, abbondano i piatti, come le lasagne o il sanguinaccio che celebrano il piacere della gola e l’abbondanza della carne. Inoltre si eccede con i fritti  e si preparano dolci che preannunciano il risvegliarsi della natura a Primavera come il migliaccio napoletano a base di ricotta e semolino al profumo di fiori che somiglia e anticipa la squisita pastiera pasquale, altri invece come le frittelle di riso fiorentine, ereditate dal medioevo, piacciono per la semplicità degli ingredienti e per il profumo di agrumi tipico dell’inverno. Gustosissimi i dolci siciliani come le sfinci fritte e irrorate di miele aromatizzato alla cannella oppure i friciò piemontesi, frittelle morbide con uvetta sultanina simili anche alle castagnole di origini romagnole ma preparate un po’ ovunque.

Ma la ricetta che più unisce l’Italia a tavola in questo periodo è quella di dolci sottili, leggeri e fritti a base di farina, uova, pochissimo zucchero, nell’impasto, aromi di agrumi o distillati a piacere, a seconda della regione, e poi tanto zucchero a velo a ricoprirli dopo la doratura. Questi irregolari, croccanti e squisiti dolcini cambiano denominazione da regione a regione. Nelle Marche si chiamano frappe, in Emilia Romagna talvolta frappe talvolta sfrappole, cenci o donzelle ma pure zonzelle  in Toscana, crostoli in Trentino e galani in Veneto e ancora bugie in Piemonte e Liguria. Ma anche nastri di suora o lattughe in Lomabrdia e crostoli o grostoli in Triveneto.  Cioffe in Abruzzo, guanti in Calabria e maraviglias in Sardegna.  Nel Lazio, invece, sono detti sfrappe e in Campania e Puglia si dicono chiacchiere e pare che questo sia il nome più diffuso accanto a ogni regionalismo. Con piccole differenze magari di forma, di aromi o intingoli d’accompagnamento come miele, cioccolato o addirittura sanguinaccio  sono comunque discendenti delle frictilia, losanghe fritte nel grasso, preparate proprio in occasione dei Saturnalia.

Sebbene il cristianesimo abbia cercato da sempre di reprimere le antiche pratiche pagane, il desiderio di dare libero sfogo alle passioni torna fatalmente perché è insito nella natura umana e, seppure in maniera molto più smussata, questa antica celebrazione del piacere è stata rinviata tra febbraio e inizio marzo e predispone al periodo buio e di astinenza della Quaresima prima della rinascita della natura in Primavera e quindi della Pasqua. Così come genericamente, oggi, se ne conservano le caratteristiche dei festeggiamenti se ne conservano anche i piatti e i dolci preparati per l’occasione.

E se già Seneca pensava che una volta all’anno è lecito essere folli’ e Lorenzo il Magnifico, in occasione di carri carnacialeschi, scriveva: ‘Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza… brindiamo, friggiamo e godiamoci la spensieratezza (della vita e poi) del Carnevale… specie a tavola! 

F.S.M.  

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