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I fagioli, difatti, costituiscono una straordinaria miniera di minerali tra ferro, calcio, fosforo, potassio, magnesio e vitamine B, e vantano proprietà diuretiche e depurative.

I fagioli erano conosciuti e coltivati fin dall’antichità: vasi contenenti il prezioso legume sono stati rinvenuti in Perù nelle tombe del periodo pre-inca, mentre in Egitto erano associati al culto dei defunti e, oltre a costituire l’alimento base dei sacerdoti, venivano offerti alle divinità. In molte altre culture antiche il fagiolo, per la sua prerogativa di riacquistare freschezza con la semplice immersione in acqua, era considerato simbolo di immortalità. Anche Greci e Romani consumavano abitualmente i fagioli, ma non lo ritenevano un cibo prelibato, così come lo stesso Virgilio, che lo chiamava Vilem phaseulum perché non costituiva un alimento elitario.

Oggi sono stati rivalutati dai grandi chef che li hanno trasformati in sculture di mousse, patè e vellutate prelibate, coloratissime insalate, o in letti sottili sui quali adagiare cruditè di verdure e crostacei, magari con un tocco di zenzero o una grattugiata di tartufo. Senza dimenticare, ovviamente, le diverse tradizioni regionali. Da quella abruzzese dei lullitt e faciul e delle polpettine e papocchioni a quella partenopea della pasta e fagioli con le cozze, dalle lasagne con fagioli e pecorino risalenti all’antica Roma ai più modaioli e speziati fagioli alla messicana cucinati oramai ovunque. Senza tralasciare minimamente la tradizione toscana dei fagioli all’uccelletto e al fiasco, così come quella emiliana dei pisarei e fasò, fino al dulcis in fundo degli gnocchetti sardi alla contadina. Ad ogni regione il suo fagiolo, in un exploit di sapori e abbinamenti nuovi ma che sanno d’antan.

 Valeria Vanacore

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