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Essere e benessere
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Prendendo spunto dall’ammirevole iniziativa della Festa del Libro Ebraico, che ha scelto Ferrara come casa d’eccezione dal 25 al 28 aprile, promossa dalla Fondazione MEIS, essa si svilupperà in quattro giornate tra concerti, dibattiti, degustazioni di piatti ebraici, visite alla mostra ‘Torah fonte di vita’, presentazione di libri e incontri vari, augurandosi di aprire una finestra sull’ebraismo e dissolvere quell’aura di sospetto con cui lo si è guardato troppo a lungo.

All’interno di questo stimolante panorama proposto dall’evento spicca l’intervento nel pomeriggio del 28 di Laura Ravaioli, chef di punta di Gambero Rosso Channel e personaggio che ha sempre un occhio di riguardo per la cucina internazionale e il suo retroterra tradizionale e culturale, dedicando molto spazio nelle sue trasmissioni ai vari patrimoni culinari etnici. La sua presenza, insieme ad altri insigni rappresentanti della comunità ebraica, si contestualizza appieno nella promozione del testo ‘La dieta Kasher. Storie, regole e benefici dell’alimentazione ebraica’ (edito da Giuntina), focalizzato proprio sul ruolo primario dell’alimentazione in questa cultura così straordinariamente definita.

Come si sa alimentazione e religione sono andati sempre di pari passo, influenzandosi a vicenda nel corso dei secoli e questo vale a maggior ragione per il mondo gastronomico ebraico. Il cibo ha una grande importanza nella tradizione e nei costumi del popolo ebreo: infatti i divieti alimentari sono sempre stati frutto di una mirata scelta culturale (e di fede, potremmo dire), prima che di gusto. Ha, infatti, contribuito meglio di qualunque altro elemento a mantenere viva la coesione di una comunità storicamente costretta alle continue diaspore; ai suoi valori di tramandarsi e di riconoscervi nei piatti tipici i più sinceri legami con la propria identità. Questo spiega bene il concetto di carattere culturale di cui i nostri alimenti sono da sempre portatori.

Le norme di vita e, di riflesso, quelle alimentari sono elargite a partire dal loro testo sacro, la Torah appunto. Quest’ultima ha il compito di dichiarare preventivamente un alimento conforme, detto kasher, e quindi consumabile o meno. Tra quelli leciti rientrano, appunto, gli ortaggi e la frutta, senza distinzione, mentre sono passati al setaccio tutti gli alimenti di origine animale, di cui uno su tutti risulta evidentemente vietato e ancor di più disdegnato, il maiale, a causa di una distinzione particolare attuata su tutti gli animali con lo zoccolo diviso ma non ruminanti, a cui appartiene quest’ultimo insieme al cinghiale. Sono inoltre vietati cavalli, conigli, lepri, struzzi, rane, rettili e molti insetti. Quelli permessi sono le carni di pollo, tacchino e anatra, capra, pecora, bufalo, cervo o gran parte dei pesci azzurri, tonno, nasello, salmone e trota ma non i crostacei e i molluschi; molto usata e gradita nella loro cucina è invece l’oca.

Grande attenzione è posta alla fase della macellazione dell’animale, che deve rispettare norme rituali e non lasciare alcuna traccia di sangue mediante immediata lavatura e salatura della carne prima di poter essere dichiarata kasher, ma soprattutto prima di arrivare sulle tavole. Peraltro tale macellazione rituale può essere pratica da uno specialista solo previa autorizzazione da parte del rabbino, in quanto segue un cerimoniale che va fatto nel nome di Dio. È infine vietato mescolare carne e derivati col latte. Le procedure e le preparazione sono tutte rigorose, si pensi che gli strumenti vanno destinati ad un solo uso specifico e non vanno confusi o usati anche per uno diverso, motivo per cui nella cucina domestica o in quella dei ristoranti vanno tenuti separati gli utensili usati per la carne da quelli impiegati per i latticini (fanno eccezione solo piatti e contenitori di vetro, utilizzabili indifferentemente per tutte le tipologie). Persino il vino non si sottrae ad un preciso sistema di produzione e certificazione sotto la supervisione dell’autorità religiosa competente.

L’eliminazione di questo o quel piatto rientra, a pieno titolo, in un sistema di vita che fa capo a dei tabù religiosi o psicologici ma fa i conti anche con le semplici esperienze quotidiane, come cucinare un menu tipico delle feste o impostare i rapporti conviviali in pubblico. Questo però non deve trarre in inganno: la cucina ebraica e i riti ad essa correlati sono assolutamente vivaci e fantasiosi, pur nel pieno rispetto della precettistica religiosa, capace di scandire in modo gioioso i loro tempi di festa come quelli della routine.

Grazie alla sua elasticità e alle sue contaminazioni, legate agli eventi storici, ai viaggi forzati e all’evoluzione sociale che hanno subito, gli Ebrei si sono adattati nelle località europee ed italiane in cui sono stati accolti, senza mai rinnegare la propria etica religiosa e alimentare: ne è un esempio il caso illustre del cous cous ebreo sefardita in fuga dalla Spagna cattolica della Reconquista, giunto nella Livorno della fine del XV secolo, città d’adozione che ne ha consentito non solo il suo radicamento ma la sua diffusione.  

Consigliatissimi e interessanti da leggere sono i due testi di ricette, ‘L’ebraismo vien mangiando’ di Sandra Di Segni e ‘Nuove ricette di casa mia: la cucina kasher in una famiglia ebraica italiana’ di Milka Belgrado Passigli.

Vi sarà impossibile resistere al fascino di questa cultura fatta di memoria quanto di cibo.

Sabrina Riccio

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