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Sette di fanatici animati da incontestabili dogmi, trincerati dietro la soggettività del gusto che si aggirano indisturbati nella folla, pronti al vituperio pur di difendere i propri ristoranti favoriti dagli assalti della ragione e della critica. Se parliamo di pizzerie poi, non è raro che gli scontri si trasformino in scissioni irrimediabili. Se poi la pizzeria in questione è l’Antica Pizzeria da Michele, non è raro assistere a rotture di fidanzamenti e amicizie, liti in famiglia ed eliminazione diretta dagli amici di Facebook.

Da Michele al Rettifilo si deve andare per forza se si visita Napoli o si passa in città per una rapida riunione di lavoro, ma anche se si vive ai Tribunali o al Pallonetto: capita certamente almeno una volta al mese che qualcuno proponga il sacro pellegrinaggio alla Mecca della pizza, via Sersale Cesare 1/3/5.

Si mormora che Da Michele sia la pizzeria più antica della città e che qui sia stata inventata la margherita. I discepoli narrano e tramandano su Tripadvisor che l’Antica Pizzeria da Michele sforna la migliore pizza napoletana del mondo, capace di intenerire l’anima e strappare le lacrime. C’è passato " target="_blank">Maradona, Julia Roberts ci maradona da micheleha girato una scena del film Mangia prega ama (un polpettone melenso pieno di luoghi comuni), Forst Whitaker e altri nomi noti del jet set internazionale l’hanno onorata con la propria presenza, ma non basta. Non basta perché una pizzeria non è il palcoscenico di un teatro o la passerella di Cannes. Una pizzeria non deve sfornare grandi ospiti, ma soltanto una cosa: una buona pizza napoletana.

Il 1870 è lontano nel tempo, in una Napoli certamente diversa da quella attuale, dove le pizzerie aprivano per soddisfare le esigenze di un popolo di lavoratori, contadini e pescatori fiaccati dal mare e dal duro lavoro e la pizza non era altro che un economico placa fame. La pizzeria Port’Alba vendeva da anni dischi di pasta lievitata conditi di strutto e formaggio, pomodoro e origano al popolo affamato, quando la famiglia Condurro avviò la sua attività prima del trasferimento negli anni ’30 alla sede attuale con il capostipite Michele.

Pizze ne sono state sfornate a milioni in città, da quell’epoca antica nei ricordi degli anziani. La qualità per fortuna è cresciuta nel tempo, grazie anche all’opera di tutela e valorizzazione svolta dall’AVPN e dalle associazioni che si sono battute per un disciplinare di tutela STG chiaro e orientato alla qualità. Le diatribe, gli scontri ideologici tra pizzaioli nella scelta dei condimenti (fiordilatte o mozzarella di bufala, olio evo o di semi, lunga maturazione o breve maturazione) si sono susseguiti nel corso degli anni, creando scuole di pensiero antitetiche e gruppi di consumatori fidelizzati.

Oggi qualcosa è cambiato: gli standard di una fetta crescente di popolazione così come l’attenzione al gusto e al piacere a tavola sono cresciuti e maturati.

Torniamo Da Michele. margherita e marinara, in due formati, sono le uniche protagoniste del menù, nel rispetto di una purezza della tradizione alquanto discutibile. Manca ad esempio la Masto Nicola con strutto, formaggio, pepe e basilico, antica quasi quanto la pizza stessa e costantemente emarginata nelle pizzerie “popolari”. Anche la margherita in realtà è meno tradizionale di quanto si pensi. L’impasto, se siete fortunati e la giornata non è troppo affollata, è elastico e morbido il giusto, spesso ben lievitato e fragrante. Nei giorni di maggior calca invece, l’alveolatura del cornicione si riduce, l’aroma diventa quello ammoniacale di una pizza poco matura e l’impasto s’inchiomma nella stomaco come una palata di cemento fresco, appoltigliandosi con il condimento.

Il fiordilatte d’Agerola è una garanzia che salva la margherita dalla bocciatura così margherita pizzeria da michelecome l’aroma emozionante dell’origano sorregge la marinara. Il pomodoro, una volta gradevole e di qualità, si è trasformato negli ultimi anni in una salsa acidula, al punto da scatenare la rivolta dei succhi gastrici. L’aglio e il basilico spesso bruciati o molto vicini all’autocombustione completano il quadro. Poi c’è l’olio, un discorso a parte, legato all’infausta storia del nostro Paese e alla Seconda Guerra Mondiale, quando l’olio di semi approdò sul mercato seguendo le truppe statunitensi. Anni di propaganda commerciale a sfavore dell’Extra Vergine d’oliva hanno fatto il resto. L’olio di semi non apporta sapore alla pizza, come asseriscono i suoi sostenitori, ma brucia a temperature più basse, eccetto quello raffinato (spesso geneticamente modificato), producendo un sapore acidulo decisamente sgradevole. Purtroppo l’olio di girasole dell’Antica Pizzeria da Michele è sempre stato argomento di discussione tra puristi e teorici della pizza ed è innegabile che costituisca una ragione ulteriore di bocciatura.

Certamente l’Antica Pizzeria da Michele è migliore di tante altre che affollano la città e il mondo, ma dissolvendo le nebbie dogmatiche della fede ideologica e assaggiando con occhio critico la pizza è irreale affermare che sia la migliore della città e tanto meno tra le prime dieci, nonostante i due spicchi politici assegnati da Gambero Rosso.

pizzeria da michele

Una valutazione troppo severa? A voi l’opinione. L'antica pizza della famiglia Condurro potete assaggiarla anche da Raffaele Condurro, A ddò figlio ‘e Michele a Calata Capodichino 38 e confrontare in tal modo le due interpretazioni della stessa tradizione.

L.O.

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