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La cucina è specchio dell’affascinante mondo delle tradizioni, dei culti, delle festività, perché l’essere umano trasforma in cibo tutto ciò che è cultura. Il nuovo libro di Giovanna Esposito e Lydia Capasso, “Santa Pietanza”, intreccia narrazione, storia e cucina, riportando in luce il patrimonio culturale italiano.

Attraverso le figure dei santi e dei loro culti, “Santa Pietanza” ripercorre la genesi della preparazione dei piatti più tipici della cultura culinaria italiana, che affonda le proprie radici nel mondo pagano e greco-romano.Dopo il successo de Gli Aristopiatti, che ci ha permesso di curiosare nelle cucine di corti e palazzi italiani, Lydia Capasso e Giovanna Esposito tornano con un nuovo volume della collana “Parole in Pentola”, uno spazio prezioso in cui cucina e narrazione si intrecciano e diventano l’una nutrimentodell’altra.
Ovunque sia praticata una religione che riconosce i santi, infatti, le usanze che testimoniano la devozione dei fedeli sono moltissime, e la cucina ne riflette le origini e la tradizione. Le “sante pietanze”, il cui nome porta un esplicito riferimento al Santo, nascono talvolta da un episodio storico, ma ancor più spesso sono legate a vicende mitiche ed eventi favolosi, che si perdono in tempi remoti e sono difficilmente riconducibili a una sola versione.  
Quale destino ha fatto sì che Sant’Antonio, asceta ed eremita, sia oggi chiamato “del purcel” e considerato patrono di salumieri e macellai? Perché il 13 gennaio a Parma si mangiano le scarpette di Sant’Ilario? Avete mai assaggiato le dita degli apostoli?
Con tono volutamente leggero e ironico le autrici di Santa Pietanza raccontano il piacere della tavola e della convivialità mescolando elementi sacri e profani, che si intrecciano e sovrappongono costantemente anche in cucina. Le tradizioni e i culti dei popoli possono essere spiegati così attraverso il cibo e la sua preparazione: a Palermo il miracolo della colomba che porta una spina di grano è legato ai culti propiziatori dei raccolti. Il giorno di S. Lucia nel capoluogo siciliano non si mangiano farinacei, ed è così che nasce la ricetta dell’arancino. Un’antica usanza a Palermo, per il giorno di Santa Lucia, proibiva il consumo di pane e pasta, lo ricorda Giuseppe Pitrè, famoso studioso di tradizioni popolari, nel suo libro proverbi siciliani: “Santa Lucia pani vurria, pani nu nn’hauiu, accussì mi staiu”  (Santa Lucia vorrei del pane, ma pane non ho, digiuno mi sto).Come già aveva intuito Levi Strauss nella sua famosa ricerca “Il crudo e il cotto”, la cottura del cibo è elemento fondante dell’ordine culturale.

Lydia Capasso ci spiega la genesi di “Santa Pietanza”: “Partendo dal dolce di San Michele ci siamo rese conto che in Italia, ma anche in tutti i Paesi in cui si pratica una religione che riconosce il culto dei santi, fioriscono ricette che possono essere vere e proprie forme di devozione. Un tema interessante e curioso che meritava di essere approfondito, sulla scia di quanto avevamo già fatto per Gli Aristopiatti (il nostro primo libro) con le ricette nate nelle cucine delle corti e della nobiltà. Con lo stesso spirito e con la stessa voglia di raccontare con leggerezza le storie e gli aneddoti che si nascondono dietro molti piatti della nostra tradizione”. L’incontro tra ricerca storica e cucina è un modo molto interessante di aprire il mondo del sapere alla multidisciplinarietà, la narrazione riesce a unire il piacere del gusto e quello della scoperta del ricchissimo patrimonio culturale italiano. “Abbiamo selezionato delle ricette accompagnandole con storie e aneddoti collegandoci alle loro origini e alle usanze connesse, ce ne occupiamo già da anni, già attraverso il web magazine Gastronomia Mediterranea, per cui abbiamo inaugurato una serie e andremo avanti così con altri argomenti”, spiega Giovanna Esposito. L’interessante reperimento di fonti documentarie attraverso incontri, interviste, ricerche on line e in archivi, rende “Santa Pietanza” un’opera di valore storico, oltre ad un libro di narrazione culinaria.

 Elèna Lucariello

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