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Tornati (finalmente) alla vittoria, ci ritroviamo schiacciati tra le mire espansionistiche della Roma (a -5) e la corsa inarrestabile della Juve (a +6 dopo la recente vittoria con il Sassuolo). Eppure bisogna crederci, fino all’ultimo minuto. E non chiamatela facile la sfida di domani. Il Palermo può contare sul boost di un allenatore navigato ed esperto come Novellino che i tifosi del Napoli conoscono bene, con dolce memoria. Lo stesso effetto dovrebbe accadere con la sfida in tavola; i due prodotti sono ben noti ad entrambe le città, e costituiscono un po’ l’”ossatura” dello street food fritto.

 

Arancina palermitana
Prima ancora che storiche, le curiosità riguardanti questo alimento sono linguistiche. Non vogliamo minimamente entrare nel merito dell’ultima lettera. Che sia –a o –o è una questione irrilevante quando ci troviamo davanti un alimento così eccezionale. E antico. Infatti pare che sia un prodotto arabo dell’alto-medioevo, quando si era soliti mangiare il riso con lo zafferano condito con carne ed erba.

A quanto pare però il merito della panatura è da attribuire a Federico II di Svevia che cercava un modo semplice per conservare il riso nelle sue lunghe battute di caccia. Tuttavia pare che nei suoi anni sul groppone, da simbolo del salato sia stato anche un emblema zuccheroso; ci sono infatti alcune dichiarazioni nel Dizionario siciliano-italiano di Giuseppe Biundi dove si parla proprio di una “vivanda dolce di riso”, probabilmente riferenti alle festività di Santa Lucia.
Tuttavia la questione è ancora molto discussa e, mai come in questo caso, aperta. Sta di fatto che la massica emigrazione siciliana all’estero nel recente passato ha permesso alla arancina di fare letteralmente il giro del mondo e ingolosire tutti. Calcisticamente è il team di cui ci si può fidare, una squadra rodata e ben piazzata che affronta gli avversari con carattere e passione.

 

Panzarotto napoletano

Anche qui c’è un giochino sotto: il panzarotto napoletano non va confuso con il panzErotto, che è una sorta di calzoncino.
Il nostro invece è l’entrée perfetto della pizza del sabato sera, l’accompagnatore ideale che prepara lo stomaco a cibi ancora più sostanziosi. Oppure un simpatico amico di tutti i giorni, da degustare in giro per la città.
Ovviamente il nome comune è crocchè che, come facilmente intuibile, deriva dalla denominazione francese.
Siamo nel 1798 quando Antoine Augusten Parmentier, nutrizionista alla coorte di Luigi XVI, decise di rivalutare il tubero che prima di quel momento era poco più che cibo per animali.
Nel suo trattato ritornano due ricette simili al nostro panzarotto: le patate in bignè e le suppresse di patate, condite con grasso di manzo e arricchite di spezie come l’alloro.
Dalla tavola reale a quella “di strada” il passo è stato discretamente breve. E così che la nostra cucina si arricchisce di un talento straordinario, un regista perfetto che “in mezzo al campo” imposta il gioco per una portata successiva incontrista.

 

 

 

Massimiliano Guadagno

 

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