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Riprende a pieno ritmo il campionato con gli azzurri impegnati contro una Udinese che avverte sempre più vicina l’ombra della serie B. Almeno sulla carta il match sembra essere abbastanza abbordabile, anche se abbassare la guardia in un momento così delicato può risultare fatale per le velleità partenopee di scudetto. Sulla tavola invece è un’altra storia: da una parte un piatto antichissimo mentre sul versante tirrenico abbiamo IL binomio napoletano per antonomasia. Ambedue accomunate da quattro lettere: la rapa.

 

La Brovada

Anche se abbiamo appena passato Pasqua e si avvicinano i primi sentori estivi, facciamo un salto all’indietro proponendo un piatto decisamente invernale anzi tipico del periodo natalizio. Nonostante l’anacronismo non potevamo esimerci dal trattarlo per vari motivi: il primo perché parliamo di una delle ricette più antiche mai trattate, ben 2000 anni. Il secondo per la straordinarietà della sua preparazione, che va a bussare alla porta dei celtici che coniarono il termine breowan (da cui brovada), ovvero bollire.
Ma cos’è? Parliamo di rape: dopo la raccolta ed aver tolto le foglie, vengono sistemate in tini alternate a strati di vinacce rosse, riempendolo alla fine con una miscela di aceto, acqua e vino. Dopo una fermentazione di una cinquantina di giorni la rapa viene lavata, pelata, tagliata, insaccata e quindi venduta.
Cucinato con il cotechino, la brovada è un piatto decisamente deciso e tipicamente invernale.

 

Salsiccia e friarielli

Gianni e Pinotto, Stanlio e Onlio, Totò e Peppino o, per restare in tema, Maradona e Careca. Il mondo è fatto di coppie famose, inscindibili dove eliminare un componente vuol dire annullare anche l’altro. Forse non si arriva a questi eccessi, ma se andate a chiedere in giro per Napoli quasi tutti vi risponderanno che la morte della salsiccia è col friariello. A proposito di quest’ultimo, ma perché si chiama così? Le ipotesi sono due: o deriva dal castigliano quindi “frio-grelos” che significa broccoletti invernali, oppure dal dal verbo napoletano “frijere”, friggere. Pare che questo abbinamento sia secolare; ritornano infatti due personaggi che abbiamo già trattato su queste pagine, le zandraglie e i Monsù di coorte. Le prime arraffavano ciò che potevano dagli scarti gettati dai secondi, ma spesso non bastava a placare la fame. Si decise così di puntare su una materia prima poverissima, gli ammassi floreali delle rape e cucinarli con sugna (oggi sostituita dall’olio per la felicità del nostro fegato) e abbinarli a delle salsicce. Il risultato ovviamente fu strabiliante, e ancora oggi è un piatto che mette il buon umore.

 

Massimiliano Guadagno

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