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Difficile poter chiedere di più a questo Napoli. Molto meno complesso sperare in una striscia di risultati positivi da qui alla fine della stagione. L’Inter di Mancini cerca di raggiungere una super Roma che a sua volta guarda con invidia al secondo posto al momento tinto di azzurro. E se allo scudetto è obbligatorio crederci fin quando la matematica non ci darà torto, ad una qualificazione diretta in Champions League è praticamente un dovere morale. Situazione assolutamente stimolante che vogliamo rappresentare con una sfida di fritti, fatta davvero di tanti ingredienti in gioco. Un po’ come le variabili che possono influenzare l’esito finale di questa serie A.

 

Fritto misto alla milanese

Cervello, fegato, animelle, filoni e polmoni. Tutti protagonisti attivi di un fritto di un certo spessore, spesso accompagnati da ortaggi (anch’essi fritti), per arrivare ad un sostanzioso piatto unico.
Fin dalla antichità questi ingredienti erano considerati di una categoria superiore in quanto sede stessa della vita dell’animale. Per questo motivi non erano visti di buon occhio dagli ordinamenti religiosi che spesso ne proibivano il consumo se non per riti di buon auspicio.
Particolare l’utilizzo del limone; dalla tradizione ottocentesca milanese si utilizzava il suo succo per condire il fritto con aspetti positivi e negativi. Dei primi, come potete facilmente immaginare, fanno parte tutti i vantaggi di digestione e “pulizia della bocca” che questo agrume porta con sé.
D’altra parte però il succo di limone “stempera” la croccantezza del piatto. Oggi il fritto misto milanese è una colonna portante della storia lombarda, magari trattata con eccessiva cautela dagli abitanti più giovani del territorio.

 

O’ cuopp

Questa volta napoletanizziamo così tanto il team Napoli da dare quasi più risalto all’involucro che all’effettivo contenuto. E non solo. Per la prima volta utilizziamo anche esclusivamente un nome in napoletano in quanto pensiamo che non ci sia una traduzione italiana abbastanza efficiente semanticamente. Eppure di cuoppi se ne parla da fine ‘800 da quando il popolo cercava il modo migliore per trasportare e degustare fritti di tutti i tipi.
Si creò così un cono fatto di carta paglia (chiamato così proprio perché costruito dalla macerazione delle fibre della paglia).
Addirittura nel 1884 Matilde Serao ne scrive “dal friggitore si ha un cartoccetto di pesciolini che si chiamano “ fragaglia” e che sono il fondo dei panieri dei pescivendoli.” facendo riferimento ad un contenuto di pesce.
“… per un soldo, quattro o cinque panzarotti, vale a dire delle frittelline in cui vi è un pezzetto di carciofo, o un torsolino di cavolo, o un frammentino di alici.” per far capire che il cuoppo era un protagonista capace di adattarsi a pietanze di ogni tipo.
Addirittura i “cuppetielli” erano anche chiamati “oggi a otto” perché il friggitore rateizzava il pagamento di una poverissima popolazione fino a otto giorni.
Altri tempi anche se la tradizione e la storia sono, come al solito, più forti di qualsiasi passaggio del tempo.

 

Massimiliano Guadagno

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