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Se pensavate che la sfida scorsa fosse stata alquanto improba, meglio non affacciarsi proprio alla partita gastronomica odierna. Genoa e Napoli, pur molto lontani nella classifica, non si tirano certo indietro quando si tratta di dare voce a quelli che sono i pezzi da novanta della propria cultura culinaria. Ed è così che per la prima volta su inFOODation fanno bella mostra di sé non due piatti ma due veri e propri flussi sanguigni di colore diverso ( verde e rosso ), ognuno capace di destare ciò che c’è di bello e buono nell’animo di ognuno di noi. A voi la scelta.

 Pesto alla genovese

Non che le prime sfide per i partenopei fossero facili, ma stavolta si è superato ogni limite. Il pesto alla genovese è un concentrato densissimo di storia, tradizione, e sapori decisi da lasciare di stucco tutti i fortunati che decidono di assaggiarlo.
Con un passo indietro andiamo al Medioevo, dove troviamo l’antenato agliata, un battuto di noci e aglio molto apprezzato dai liguri per via di presunte proprietà antibatteriche ed antivirali, ideali per prevenire qualsiasi malanno nelle lunghe traversate marittime.
E’ però solo dall’800 che la ricetta prende i connotati attuali, mettendo le basi per un modulo e degli ingredienti così decisivi da attraversare due secoli di storia; il basilico di Prà (un quartiere genovese), l’Olio Extravergine d’Oliva della Rivera Ligure, i Pinoli, il Parmigiano Reggiano, il Fiore Sardo, l’Aglio di Vessalico, il Sale marino grosso sono non solo dei campioni della tavola ma un grossissimo pezzo della nostra storia. Con questi uomini in campo si crea una alchimia perfetta tra intensità e sapore, difficilmente imitabile fuori dai confini liguri. Insomma un dream team dove il gioco non è individualistico ma corale, e dove ogni gol è frutto di una saggia e precisa manovra di ogni singola materia prima.

Ragù alla napoletana

Ma il Napoli sa come difendersi. E attaccare. Una intera domenica concepita e costruita attorno a queste quattro semplici lettere. Svegliarsi la mattina con il suo inconfondibile odore vuol dire entrare nella storia, che addirittura risale al Trecento. Vuol dire prendere una macchina del tempo e rivivere le emozioni dei nostri nonni quando il pranzo domenicale era sacro e ci si alzava da tavola solo a pomeriggio inoltrato. Il ragù è Napoli concentrata e fatta sugo. La sua complessa realizzazione, che spesso richiede un giorno intero di lavorazione, richiede la pazienza e la virtù dei migliori amanti. Anche perché chiamarlo sugo è riduttivo: grazie all’ausilio della carne, diviene in un colpo d’occhio primo e secondo. E la squadra che racchiude non solo è ai vertici del bel gioco e delle personalità. E’ anche simbolo di sacrificio e dedizione, dove tutti gli elementi possono fare tutto se gestiti da un grande allenatore. Il perno dell’azione ruota attorno allo Spezzatino di vitello, supportato nel gioco dalle Cipolle, e dalla Passata e Concentrata di pomodoro per aiutarlo nella finalizzazione. Le napoletanissime tracchiulelle (costine di maiale) danno brio all’azione, con l’olio, il vino rosso, sale e basilico a dare ancora più sostanza. Se gli ingranaggi girano, il tutto deve pappuliare un bellissimo termine onomatopeico che faccia capire ancor di più il legame tra cultura e cibo, assolutamente intraducibile e forse lontanamente paragonabile al sobbollire. Se noi siamo quello che mangiamo, i napoletani tutti devono essere fieri di essere ragù.

 

Massimiliano Guadagno

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