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Resistere, ricostruire sono i verbi declinati all’infinito, come per beffa, dopo un terremoto che pare fermare tutto in un passato irrecuperabile.

Mercoledì 24 Agosto 2016, Alto Lazio, il terremoto devasta Pescara del Tronto, Amatrice, Accumuli e Arquata , e questa è storia ormai nota.

Polvere, macerie , sconforto sono gli elementi ricorrenti nelle immagini che ritraggono questi luoghi. Centri storici sbriciolati, spaccati a metà. Eppure mentre ancora si scava già si parla di ricostruire, evitando gli errori fatti in passato altrove. Ma come?

Terremoto ad Amatrice

Una soluzione è ancorarsi ai valori tipici, alle tradizioni, ai credi di sempre per ripartire proprio da dove si è lasciato. Il senso di questa capacità è contenuto nella parola “ resilienza”. Secondo l’enciclopedia Treccani in ecologia la resilienza descrive la “velocità con cui una comunità (o un sistema ecologico) ritorna al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che l’ha allontanata da quello stato; le alterazioni possono essere causate sia da eventi naturali, sia da attività antropiche. Solitamente, la resilienza è direttamente proporzionale alla variabilità delle condizioni ambientali e alla frequenza di eventi catastrofici a cui si sono adattati una specie o un insieme di specie” . Evidentemente una dote che meriterebbe di essere sviluppata dalla popolazione italica, da sempre sottoposta alle forze della Natura che trovano sfogo massimamente nei terremoti.

Si parla di resilienza sempre più spesso in agricoltura, settore che insieme all’agroalimentare e all’artigianato è tra quelli trainanti dell’Alto Lazio.

Il comune di Amatrice noto per la famosa pasta, insieme agli altri dell’area era dedito al comparto agricolo orientato verso l’implementazione di nuovi modelli di sviluppo agricolo e rurale, basati sulla salvaguardia degli equilibri dell’ambiente naturale, sullo sviluppo delle produzioni agricole tipiche, sul recupero delle aree interne e residuali e sulla valorizzazione del territorio a fini turistici.

La filiera agroalimentare dell’Alto Lazio, si compone di numerose micro imprese agricole fortemente integrate nel territorio, e spesso rivolte a segmenti di mercato di nicchia con produzioni di qualità. Sotto il profilo reddituale e prettamente industriale, tra i settori maggiormente rappresentativi dell’agroalimentare dell’Alto Lazio vi sono il lattiero-caseario, la trasformazione e la conservazione dell’ortofrutta, il settore enologico ed oleario.

paesaggio Amatrice

Le performance di questi settori non sono altro che il risultato di una cultura contadina autenticamente legata ai luoghi tristemente colpiti dal terremoto. Pascoli, campi, laboratori devono rianimarsi, proprio come auspicato dalle regole della resilienza. E così diventando resilienti è possibile imparare a resistere ai contraccolpi di un’economia al collasso e reinventarsi un futuro bisogna ispirarsi al mondo naturale quando subisce shock e traumi. Questo è l’unico modo per ripartire dai fallimenti. Il terremoto ha buttato giù tutto, dai palazzi più fragili e antichi a quelli moderni e malfatti. Ha salvato cose indistinte, quasi mai le più significative. Perciò da cosa ripartire?

Il termine resilienza fu usato fuori dal contesto ecologico per la prima volta dalla psicologa americana Emmy Werner, che alla fne degli anni Ottanta studiò la risposta alle diverse diffcoltà della vita (nascite diffcili, povertà, alcolismo, malattie mentali, violenza) di 698 neonati dell’isola hawaiiana di Kauai. E successivamente il neurologo, etologo e psicanalista francese Boris Cyrulnik sopraggiunse a chiarirne i contenuti: «Il destino della parola resilienza è tipico di tutti i termini polisemici […] e soprattutto in agricoltura, dove un suolo si definiva resiliente quando, dopo una calamità naturale come un’inondazione o una siccità, era capace di riprendere vita, anche se sotto una forma diversa rispetto a quella precedente lo shock ambientale. Ma come sempre, è il contesto a dare senso alle parole e oggi il termine resilienza sembra proprio la metafora giusta per identifcare quei tempi e modi di reazione necessari per superare gli stress economici, sociali e ambientali in atto. Del resto, dopo un qualsiasi trauma, è naturale essere portati a modificare la nostra struttura mentale o sociale per continuare a vivere». Le formiche ammirate dagli uomini per la capacità di organizzarsi in solide strutture sociali, sono gli animali resilienti per eccellenza.

 

Senza arrivare alle estreme interpretazioni del concetto, che vedono nel rischio un’opportunità,  e sorvolando sulla dose di colpevolezza propria dell’incuria umana, possiamo affermare senza dubbio che la resilienza, l'attaccamento ai valori più autentici della terra e dei rituali legati al suo lavoro, sono l’unica via per non perdersi, ma anzi ritrovarsi, dopo il catastrofico sisma del centro Italia del 24 Agosto 2016.

Federica Mazza

 

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