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La notizia che ha fatto il giro del mondo in poche ore è che l’Hummus Bar israeliano di Kfar Vitkin (una città lungo la costa a nord di Tel Aviv)  propone lo sconto del 50% a palestinesi e israeliani che si siedono a mangiare insieme. Con un’unica avvertenza: il locale serve anche la birra, che potrebbe infastidire gli avventori islamici. Ma la cosa è lasciata in definitiva al tatto dei clienti ebrei che, in un gesto di amicizia, possono comunque ordinare per l’occasione bevande non alcoliche. 

Un gesto piccolo, ma fortemente simbolico tant’è che in un tempo brevissimo questa iniziativa ha attraversato l’intero pianeta. Non si pretende certo di risolvere la millenaria diatriba tra Israele e Palestina, né di mettere la questione sul piano politico, ma dietro un’iniziativa di marketing che ritengo anche molto intelligente se non furba, c’è anche il lodevole sforzo di anelare a una convivenza civile.  Se non altro quando si seduti attorno al tavolo di un ristorante a mangiare l’hummus, pietanza comune a entrambe le popolazioni che hanno cucine e dettami alimentari spesso molto distanti tra loro.

Non cambia la situazione politica, i martiri, gli attentati, le stragi, la disparità di mezzi e di ideali, ma i cittadini non sono lo stato e neanche le istituzioni, e molti di loro, da entrambe le parti, sono stanchi del continuo stato di tensione in cui si vive, dell’odio millenario che sembra non potrà mai trovare una soluzione. A volte le soluzioni possono trovarsi nel basso, dove la coabitazione è scontata, come all’interno della sala di un ristorante, che di certo non cambia lo stato delle cose, ma ritengo anche più improbabile che dopo aver pranzato insieme e aver scambiato delle chiacchiere, si possa poi pensare di essere ancora nemici come prima. Almeno non con le persone con le quali si è condiviso il desco e sicuramente questo sforzo di apertura, di tolleranza, dell’altro punto di vista, non sarà vano nei comportamenti di entrambe le parti fuori da quel locale.

Chiaramente altri sono gli ambiti nei quali prendere i provvedimenti per cercare di risolvere lo straziante conflitto che ormai dura da troppo e con troppe vittime, ma imparare a vedere il nemico come un essere umano che mangia con me e come me, è una minuscola goccia che, a mio parere, può fare solo bene. Poi, resta sempre da vedere se palestinesi e israeliani accetteranno le promozioni che il bar offre o continueranno a mangiare separati. Io spero che le adesioni siano davvero tante. Io credo nell’essere umano e so che il cambiamento avviene soltanto dal basso, dal profondo. Se un piatto di hummus può servire a sradicare pregiudizi atavici e dissapori ormai cementificati, o anche soltanto a far dialogare delle persone che da sempre si considerano nemiche, per me, che sia il benvenuto!

Carmen Vicinanza

 

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