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Umberto Montano, imprenditore appassionato di storia e arte, nel 2014 ha ridato identità e vigore ad un edificio fiorentino che già nel diciannovesimo secolo rappresentava l’anima del commercio cittadino. Reinterpretandone la filosofia è nato così il Mercato Centrale di Firenze, di cui gli abbiamo chiesto di parlarci.

Il concetto di bellezza che è alla base della nascita del suo ristorante Alle Murate, legato alla riscoperta di un ciclo di affreschi trecenteschi di immenso valore, è riscontrabile in un altro dei suoi recenti progetti: il Mercato Centrale di Firenze. Quando ha sentito la necessità di dar vita al Mercato e per quale motivo?

Io sono un imprenditore, quando ho avuto l’occasione di mettere in piedi un grande progetto che riguardasse la mia professione mi sono buttato e ho realizzato quello che posso definire il progetto sintesi di tutta la mia vita professionale. Si potrebbe dire che il tempo precedente alla sua apertura mi abbia dato la possibilità di acquisire la formazione necessaria per costruire questo strumento musicale, quando poi ci ho soffiato dentro è venuta fuori una nota meravigliosa, dopo anni di esperienze sacrificanti che mi hanno spinto verso un progetto più complessivo. Così è stato il Mercato per me, un luogo di grande successo che produce circa due milioni di visitatori l’anno, lanciandoci prepotentemente ai vertici delle mete turistiche della città, il luogo più visitato di Firenze, ancor più della galleria degli Uffizi.

Dove sorge–passato e presente tornano ad intrecciarsi… - e qual è la filosofia alla base del progetto?

Il Mercato sorge all’interno di un palazzo che è stato costruito per questa funzione: per accogliere un mercato cittadino, pubblico, nell’ambito del progetto Firenze Capitale. Fu inaugurato nel maggio del 1874 ad opera di un architetto all’epoca al vertice, Giuseppe Mengoni, lo stesso  che realizzò la Galleria Vittorio Emanuele di Milano. Anche questo edificio è quindi portatore di bellezza: un posto grande abbastanza per mettere insieme il mio progetto di aggregazione degli artigiani del cibo si è espresso così come si vede adesso (venti botteghe artigiane, centinaia di persone che si alternano per lavorarci, migliaia di persone che vengono a visitarlo).

Anche qui la tradizione è sempre presente, e non solo rispetto alla tipologia di prodotti offerti. Quello che si propone al Mercato è il sapere antico, una cultura e un’esperienza condivise. In che modo?

La tradizione è fondamentale. Il patrimonio rappresentato della cucina italiana, riconosciuta a livello mondiale come la migliore del mondo, è straordinario. Non fare tutto il possibile per salvaguardarla, elevarla, diffonderla, trovo che sia un crimine. Con il Mercato Centrale intendiamo proporre un progetto che lanci forte questo messaggio: la cucina italiana è preziosa, grande, importante, vogliamole bene, facciamola conoscere per lo stesso motivo per cui il mondo intero la apprezza e dovrebbe pagarla, cosa che per il momento non succede granchè. Al Mercato la tradizione si propone anche nel rapporto artigiano-cliente, che ravviva quel contatto purtroppo perso in tutti i centri urbani dove un tempo c’erano le botteghe, che incapaci di sostenere gli alti affitti cittadini, hanno lasciato spazio aigrandi negozi di abbigliamento e alle scaffalature dei supermercati. Queste ultime però non parlano, non raccontano quello che c’è dentro il prodotto, come è fatto.Abbiamo scoperto che le etichette sono spessissimo menzognere, così compriamo cibo a scatola chiusa, lo portiamo a casa, lo mangiamo e ci fa male, ma di questo purtroppo non ci possiamo fare nulla. Invece il rapporto con l’artigiano riapre quel dibattito che sempre c’è stato in passato tra negoziante, salumiere, panettiere, macellaio ecc. e acquirente e che permette di diffondere questa conoscenza in maniera più pratica, oggettiva, di giorno in giorno, con il rito di fare la spesa.

Quanto e come il binomio cultura-cibo ha guidato la riqualificazione strutturale dell’edificio?

Noi abbiamo sempre avuto una grande squadra nella definizione dei progetti composta da un bel gruppo di bravi architetti che fanno capo allo Studio Archenia i quali hanno saputo interpretare il mio pensiero operativo associandolo al loro, estetico, anche guidati dalla bellezza del luogo e portando al raggiungimento del risultato che oggi si vede.

Quali realtà ospita il Mercato?

Sono tutte botteghe artigiane, venti in particolare. C’è il macellaio, il caseificio, il cioccolataio, il gelataio, chi fa la pasta fresca, il panettiere, l’ortolano… Artigiani e prodotti di diversa natura, come allevatori trasformatori - la famiglia Savigni di Pavana Pistoiese per esempio - macellai sui generis perchévendono solo ed esclusivamente le carni di bestiame allevato nelle loro terre. Oppure la mozzarella di bufala campana dell’antico demanio che non si fa né con il latte né con le bufale, ma solo se si è fatta la giusta selezione di sementi per il foraggio delle bufale: se quelle sementi fanno il foraggio adatto le bufale producono il latte migliore, così si fa una grande mozzarella. O ancora il pane che non usa farina qualunque – qui è bandita la 00, non ci sono mai farine troppo raffinate – così come sono banditi i grani che facciano troppi viaggi,che sono maltrattati, e invece si usano il più possibile grani antichi, farine macinate a pietra, 0, 2, farine insomma che rispettano quell’esigenza di salubrità ormai scoperta e a cui purtroppo si fa riferimento troppo raramente, evitando di interrogarsi su come fare bene le cose per tutti.

Che riscontro di pubblico ha avuto nel suo primo anno di vita? Prevede di arricchire ulteriormente il Mercato inserendo nuove attività o realtà?

Abbiamo ricevuto esattamente due milioni 987 mila persone in un anno, il Mercato è una realtà molto dinamica, qui si muove tutto sempre. Si muove l’arte contemporanea perché tutti gli anni un grande artista fa un’installazione importante. Quest’anno c’è Michelangelo Pistoletto, l’anno scorso c’era Daniel Buren; presenta continuamente attività culturali, libri, manifestazioni di ogni genere, fa scuole di perfezionamento per professionisti, ma anche corsi di formazione per bambini… E in questa realtà fortemente dinamica si collocano anche i cambiamenti delle botteghe: abbiamo cambiato il friggitore, abbiamo integrato il vegano, sostituito il sistema di produzione della mozzarella, cambieremo probabilmente altre botteghe, ma tutto questo  è l’ordinario, il mercato è un continuo movimento.

Il suo è uno spirito vulcanico. Quali sono le radici della sua instancabile energia ed entusiasmo? Cosa vede nel suo futuro?

Io sono della Basilicata, di Stigliano, un paese della montagna materana dove il contadino lavora, il pastore lavora, il muratore lavora, mio padre che era imbianchino lavorava. Io lavoro, questo faccio.

Il mio futuro, accanto ad una moglie che adoro, vorrei trascorrerlo nel modo più rilassato possibile, ma temo che per ora non se ne parli. Il mio futuro si costruisce sul come far diventare sempre meglio, sempre più bello e attraente il mercato, come trasferire queste nostre conoscenze agli altri. È tutto un gran fermento.

Micole Imperiali

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