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Dopo le abbuffate natalizie riprendono le abbuffate di gol. Mentre il Napoli cerca di non lasciarsi sfuggire la scia della capolista, il Torino naviga in un limbo posto a metà classifica. Ma anno nuovo, squadra probabilmente rinforzata con innesti nuovi e anche pietanze nuove. E’ un altro numero 0 della rubrica che riparte da ciò che è più semplice e storico possa esistere sotto la voce alimenti.

 

Pane Cafone

Il pane a Napoli non è cibo, è una dichiarazione di amore eterno. Il rapporto viscerale che si ha con esso travalica i confini della normale alimentazione, trattandolo come accompagnamento a quasi qualsiasi altro piatto.
E poi la varietà di pane presente in città soddisfa anche le richieste più astruse. Ma uno degli esponenti maggiori è indubbiamente la variante “cafone”. Ma perché si chiama così?
Pare che si facesse riferimento alla lingua parlata nei Quartieri Spagnoli e nel Rione Sanità, molto più lontana dal francese borghese trattato dei salotti della città.
Ed è proprio qui che nacque questa versione “low cost” del pane, molto lontana dalla variante più ricca ma di origine francese.
Se fosse una squadra di calcio sarebbe un team che gioca senza troppi fronzoli, duro e deciso. La scorza un po’ bruciacchiata e la fragranza al taglio lo rendono riconoscibilissimo in praticamente tutto il mondo.

 

Biova

Il più noto e diffuso pane piemontese, nasce a cavallo tra Ottocento e Novecento quando si cominciarono ad utilizzare le prime macchine impastatrici.
La massa uscita da queste macchine portava una forma rigonfia nella parte mediana e più assottigliata alle estremità tanto da ricordare un fuso; per questo motivo si utilizzava un coltello di legno chiamato “raschia” per tagliarlo a metà.  
Ma esisteva anche una variante più piccola, di circa cinquanta grammi chiamata bivetta, che durante buona parte del Novecento era il pane “dei ricchi”, una versione dunque “top di gamma” rispetto alla classica biova più economica.

Massimiliano Guadagno

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